Il corso di fotografia è finalmente iniziato nello slum di Chimbel a Panjin, capitale dello stato di Goa, a ca. 30 km da Vagator, quartier generale del gruppo e giorni fa c’è stato un incontro preliminare con i bambini e i loro genitori nella casetta di El Shaddai all’interno della baraccopoli.
Chimbel è un agglomerato di piccole case, le più costruite abusivamente, che ospita soprattutto famiglie del Karnataka migrate fin qui in cerca di lavoro o condizioni di vita migliori. 40.000 persone è la stima degli abitanti; i più sono musulmani, ma si possono incontrare anche comunità induiste e cristiane. Quasi tutti i bambini frequentano la scuola anche se molte ragazze si trovano costrette ad abbandonare gli studi una volta raggiunta la decima classe, per prepararsi al matrimonio.
Durante la riunione, le mamme dei bimbi partecipanti al workshop, nei loro coloratissimi sari, indossano con orgoglio vistosi orecchini e braccialetti e ascoltano con interesse la presentazione delle nostre fotografe.
Timira si esprime in hindi e la sua empatia arriva subito al cuore delle donne e in pochi minuti questo primo incontro si trasforma in un susseguirsi di battute e risate. C’è un solo uomo nel gruppo, il padre di Aisha, 12 anni, che rimante tutto il tempo in disparte, silenzioso e passivo. Dopo trenta minuti i genitori se ne vanno e il laboratorio può avere inizio.
Nel momento in cui le madri lasciano il centro, Timira le incoraggia a sostenere e incoraggiare i ragazzi ad applicarsi. “Non ti preoccupare, lo faremo”- rispondono le donne – “Però da questo momento non diteci che sono i nostri bambini. Ora ve li affidiamo. Da ora sono i vostri bambini”.
Sono dodici i ragazzi coinvolti, maschi e femmine, dagli undici ai sedici anni. Per far capire loro il senso della fotografia, Timira ha subito un’idea geniale: prende il quaderno degli appunti di Paola e chiede a tutti di provare a lettura. La prima parola “Photo Workshop” è un successo ma il resto del testo è in italiano e, purtroppo, continuare diventa impossibile.
Allora Timira mette al centro del gruppo una fotografia che ritrae in primo piano tre mani congiunte. Ora il contenuto e la lettura dell’immagine diventa subito chiaro a tutti anche se la foto proviene da un giornale italiano.
Oggi i ragazzi hanno capito una cosa: la foto è universale, leggibile anche da chi non sa leggere, da chi non ha studiato … da chi non ha mai fotografato.
Buon lavoro ragazze!