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Oggi era il nostro giorno “libero” nel senso che non eravamo impegnati nei laboratori al club.
Paola è andata dal dentista, poverina (!), e nonostante il dentista sembrasse una persona affidabile, ha deciso che forse era meglio occuparsi più approfonditamente del dente del giudizio, una volta tornata in Italia. Antibiotici, antidolorifici e via!
E’stata una giornata molto intensa, con immagini ed emozioni forti ed estremamente diverse tra loro. Abbiamo visitato il campo profughi di Al Aroub, a sud di Hebron. Un ammasso di case, stradine strette, negozietti, e bambini, tanti bambini, curiosi curiosi. Anche gli adulti in realtà non sembravano ricevere spesso visite, ci hanno salutato e ci hanno accompagnato dal “capo villaggio”, all’ufficio dell’ONU. C’era un cartello molto chiaro che indicava “niente armi” in questa zona con i muri e le ringhiere “azzurro UN”. Il referente dell’ONU, un palestinese di circa 45 anni, nato e cresciuto al campo ci ha spiegato che circa 8 mila persone vivono su questo terreno di 1 km quadrato. Sono le famiglie che dopo il 1948 hanno lasciato la loro casa e le loro terre perché dichiarate parte del nuovo stato di Israele. Negli anni hanno trasformate le tende in baracche e le baracche il case. Non hanno i soldi per comprarsi un terreno da altre parti, o una casa in una città e quindi vivono qui in questo villaggio “obbligato” in zona B – C, il che significa che è territorio palestinese, ma sotto controllo israeliano e in parole povere quasi ogni notte i soldati israeliani fanno incursioni nei campi e spesso portano in carcere qualche ragazzino che durante il giorno avrebbe tirato loro i sassi. I campi profughi sono spesso presi di mira dai soldati, sono una terra di nessuno, di persone senza terra e senza protezione. E le Nazioni Unite. La stessa domanda facciamo noi. L’Onu offre alcuni servizi: scuola, ospedale, pulizia delle strade, – ci risponde il referente, ma altri diritti rimangono sulla carta.
Si aprono di nuovo molte domande nelle nostre testoline e si mostra la complessità di questa terra divisa.
Nelle stradine i bambini ci rincorrono. Gli adulti ci salutano, qualcuno ci invita a bere una thè e abbiamo la fortuna di entrare nella casa di F., una ragazza di 20 anni che studia geologia a Hebron, sono sette figli, i genitori sono nati a Al Aroub. La casa è piccola, pulita e le persone si trattano con una delicatezza e gentilezza che rivolgono anche a noi.
Usciamo dalla casa e usciamo dal campo. Proseguiamo verso Betlemme, dove incontraimo anche Majd e Ingeborg. Proseguiamo verso il monastero di Mar Saba e questo breve viaggio è una magia. Una sorta di deserto sassoso dai colori pastello ci appare oltre le case, due galline, un asino bianco, in fondo il Mar Morto.
Siamo stanchissimi adesso e “domani è un altro giorno”.
Breve anteprima: domani portiamo il gruppo di fotografia a Betlemme. Sabato le attività si spostano alla Old Town con giochi e foto. Domenica sera è prevista pasta al ragù al club, lunedì grande exposition dei lavori fotografici e corse motociclistiche. Martedì Diego e Gianni ripartono per l’Italia!