È venerdì sera in Italia. Mi chiama Erica dall’India, sul lavoro. La voce rotta dall’emozione. Non riesce quasi a parlare. Ma dal suono della sua voce partono vibrazioni che colmano un racconto frammentario. "Parla Erica!" le grido sulle spine.
Erica parla. Incomincio a vedere. Non vi sono né fusi orari né disturbi telefonici ad interrompere questo flusso di sogno che Erica trasmette a singhiozzi. Ed è questo:
"Sara… è stato bellissimo… erano felici… stupendi… i ragazzi sono stati perfetti!".
Mi pare di vedervi tutti, ragazzi fantastici dai cento colori, in scena, a fare le vostre entrate che avete provato con tanto spirito e dedizione e volontà.
E poi inizia a raccontare dell’altro:
"Sono stati fantastici, e che entusiasmo. Ci abbiamo messo tre ore per prepararli a puntino. I primi a mettersi i costumi sono stati i più piccoli, tutti fermi all’ombra ad aspettare il loro turno. Sono duecento tra bambini bambine ragazze e ragazzi: vestizione, trampoli e trucco per i danzatori, e via! In scena! Sono stati meravigliosi."
E ci pare di cogliere con uno sguardo partecipe ed appassionato ciò che oggi è avvenuto al campo sportivo di Calangute. Quattro folte schiere di giovanissimi attori che riempiono la terra del campo con le loro poetiche apparizioni, dal quadro dell’aria, così bianco, lieve e spensierato, a quello dell’acqua con le bolle di sapone che si sollevano e accompagnano in cielo i sogni di tutti noi, spettatori, ascoltatori, appassionati, attori.
Erica prosegue il racconto commossa dalla gioia: "Anita (la fondatrice dei centri El Shaddai, ndr) ha presentato lo spettacolo e i piccoli attori davanti ad una folla di spettatori curiosi e partecipi, come solo sanno essere gli indiani, e di turisti. E lei ha detto con orgoglio che oggi i ragazzi donavano un sorriso a tutti loro, ragazzi che solo poco tempo fa stavano per la strada a mendicare. La cosa stratosferica è stato vederla commossa alle lacrime."
E li vediamo felicissimi questi ragazzi, davvero, pieni di entusiasmo mentre si esibiscono interpretando alla perfezione lo spettacolo.
"C’erano le televisioni, i giornalisti. Ma ci pensi? – continua Erica – "solo la sera prima eravamo là al campo a montare le quinte, è arrivato un service vero e proprio, insomma che coinvolgimento!"
"Abbiamo fatto due cerchi finali, con tutti, ma proprio tutti dentro, dalle maestre a tutti gli operatori e lo staff di El Shaddai!"
Insomma, lo spettacolo è stato così intenso da superare ogni aspettativa. E ci crediamo, lo possiamo affermare per aver seguito da vicino la costruzione di questo incredibile evento.
"E’ arrivato un bambino con una busta grande così, color oro, con le firme di tutti quanti e contiene un cuore enorme. Ce l’hanno regalato!!". Erica è quasi stravolta al telefono e continua a ringraziare e a chiedermi il motivo per cui non fossimo lì anche io e Pablita. Ma noi c’eravamo, cara Erica, con tutti gli affezionati lettori di questo blog!
I bambini chiedono con insistenza quando sarà la prossima volta, quando saranno di nuovo in scena. E allora mi viene spontaneo affermare che questa danza è solo l’inizio di una gioia che resterà nei nostri ricordi e che, ci auguriamo, possa portare nuovi frutti e coinvolgere ancora più persone. Il teatro è anche divertimento, e questi ragazzi ne hanno tutto il diritto.
E ci sembra di partecipare, coinvolti dall’emozione del racconto di Erica, all’indimenticabile spettacolo che ha avuto luogo qui in India.
Straordinario perché ha dato possibilità a questi bambini di mettersi in luce con la magia della creatività, ma anche perché ha concesso a culture diverse di incontrarsi e accettarsi reciprocamente, consapevoli che il linguaggio della fantasia e dell’invenzione è un codice che apre i cuori, dona nicchie di senso e significati nuovi alle esistenze, con quel mistero che accompagna ogni azione pura e vera, quel gesto teatrale, perché rappresentato su un palco, che è un gesto vitale.
Il linguaggio della vita, della parola, della gioia e del trasporto in altri spazi che anche qui hanno più che mai bisogno di essere ed attecchire, come il riso che riempie i campi ingialliti, l’alimento fondamentale di questa parte del mondo.