Uno sguardo fresco

Ecco due esempi di fotoracconto creati dai ragazzi palestinesi durante il workshop di fotografia curato dalle nostre instancabili amiche.

La prima è una fotostoria in tre istantanee raccontata da un ragazzo di nome Basel, 15 anni:

Sopra i tetti di Hebron

In un campo profughi

Luce e ombra

Ed ecco il fotoracconto del secondo autore, Raneen, una ragazza di 14 anni:

Giochiamo a nascondino

Amici nemici

Untitled

Ultime dai territori palestinesi

Hebron: mercoledì 15 ottobre
Abbiamo dormito nella bella foresteria del freedom theatre, il progetto ci ha lasciato a bocca aperta per l’organizzazione, la cura degli spazi, il carisma e la fiducia del fondatore Juliano e dei suoi collaboratori. La sera ci siamo viste “Arna and her children”, il film girato da Juliano sulla storia di sua madre e dei bambini che con lei avevano fatto teatro nello stone thaetre al campo profughi di Jenin. Bambini che hanno vissuto l’occupazione, le case distrutte da un giorno all’altro, la rabbia, la desolazione, tra loro l’amicizia e la gioia e lo stupore di incontrare una donna di origina ebraica che lavorava con loro e per loro. Bambini diventati giovani adulti costretti a resistere con o senza armi all’occupazione violenta della loro città. Nel film Juliano racconta il suo rientro al campo durante l’intifada, alcuni anni dopo la morte della madre, il suo incontro con le famiglie dei ragazzi morti come “martiri” e con i giovani rimasti in vita e che hanno visto morire i loro amici.
E’ un film documentario da vedere, difficile non provare una profonda commozione e ammirazione per Arna, questa donna guerriera di pace. – Se vi interessa vedere il film cari amici che leggete il blog, sappiate che Pablita ne ha una copia!-

www.voices.ps (youth website)
 
Oggi Juliano e i suoi collaboratori proseguono il progetto di educazione alternativa e creativa ed è davvero incredibile veder cosa hanno saputo realizzare in tre anni in questo piccolo campo profughi.
Non so dirvi bene perché, ma a me questo posto è piaciuto tanto, nonostante le case distrutte, i manifesti dei martiri dappertutto, il vento troppo caldo. Sarà stato il freedom theatre, le persone che ci lavoravano, le donne che mi sorridevano, sarà che in centro a Jenin ho mangiato il miglior hummus e i migliori falafel del mio viaggio…fatto sta che in questa piccola Jenin avevo l’impressione che avrei potuto fermarmi direttamente per tre mesi.
Siamo partite invece verso Nablus (mappa) nel primo pomeriggio. Ed è incredibile come ognuno ha diverse percezioni dei luoghi e delle atmosfere. Quanto mi piaceva Jenin tanto mi intristiva Nablus. Alle altre ragazze queste due città hanno fatto l’impressione opposta: triste, carica di morte Jenin, allegra e vitale Nablus.
Bello il viaggio verso Nablus, tra villaggi e olivi e musica araba alternata a musica israeliana.
Eh, si, ai palestinesi piace molto la musica israeliana.
Il taxista ci ha portato direttamente alla sede di “Project Hope”, dove abbiamo incontrato Marouf, referente per i volontari internazionali e marito di Sabrina, giovane italiana che, pensate un po’ il destino (!!), avevamo conosciuto il giorno prima al freedom theatre. Project Hope propone attività per bambini e giovani palestinesi in prevalenza nei campi profughi, lezioni di inglese, di arabo, percorsi di espressione artistica, ma anche sostegno ai contadini palestinesi che raccolgono l’oliva, che anche qui sono vittima di frequenti aggressioni e furti da parte dei coloni. Inoltre sostengono il commercio equo e solidale di diversi prodotti quali sapone, olio, tisane, artigianato.

 

 
Un’ora più tardi abbiamo incontrato Tamer, amico di Pabli e volontario al Project Hope, che ci ha accompagnato a visitare una piccola scuola di circo e a mangiare il famoso Kanaffa, un dolce a base di formaggio fresco e molto apprezzato a Nablus. Abbiamo visto parte della città vecchia e siamo finite al bagno turco, il più antico della regione.

 

Notte al Yasmeen Hotel e alla mattina presto pronte per andare a Qualquilia, a venti minuti dop il check point, una cittadina contornata dal muro del 2004. Non siamo delle writers, ma ci siamo impegnate per lasciare un segno, anche noi. Ultime ore con le nostre amiche indiane, le nostre bellissime Timira e Ami. Nel pomeriggio sarebbero partite per Gerusalemme, un viaggio lungo, tre tappe, diversi check point, zainoni carichi di saponette, tisane, e olio di oliva comprati a project hope.
Siamo rientrate insieme a Nablus, è stata una giornata in cui abbiamo sentito diverse ambulanze e ai lati dei campi di olivi abbiamo visto numerose camionette israeliane con la funzione di difendere i contadini dai coloni israeliani. Assurdo, ah?!
Abbracciate le nostre amiche, Pablita ed io abbiamo girato per la città a vedere e fare foto.
Nablus è piena di bambini, nel suq si trova di tutto, la città è tappezzata di manifesti di martiri, ci sono anche tabelloni illuminati come i nostri tabelloni del cinema, ma al posto del film c’è il ritratto di giovani martiri con i fucili in mano.
La sera stiamo all’hotel che è anche un bel ritrovo, di giorno degli studenti e studentesse di Nablus, bellissime con il loro velo e gli occhi truccati, fumano il nargilè con grazia e ci guardano con occhi curiosi.
La sera non ci sono più studenti, solo gli internazionali, i volontari di Project Hope e “turisti” come noi si incontrano a cena. E alle undici si va a casa, non si gira la sera per la città, ci sono soldati in giro che sparano per aria o alle finestre.

Venerdì 17 (!) è il giorno della partenza. E’ una bella giornata di sole, vogliamo essere a Tel Aviv alle 11.00 e alle otto e dieci siamo già in viaggio. Il taxista è simpatico. La sua ditta ha accordi con una ditta israeliana e quindi ci accompagna fino a un paesino dove cambiamo taxi e la targa adesso è israeliana. All’aereoporto ci interrogano per bene, ma noi siamo pronte. Parliamo poco poco inglese, siamo state a Gerusalemme, Betlemme e sul Mar Morto. Le domande sono varie: qual è la “connection” tra noi? Sorelle, amiche? Qual è il “purpose” del nostro viaggio? Turismo. Abbiamo fatto volunteer work? Abbiamo conosciuto qualcuno? Qualcuno ci invitato in casa? Qualcuno ci ha invitato a cena, a bere il caffè? Qualcuno ci ha regalato qualcosa? No, no, no.
Ci mettono un bel bollino con il numero 5 e passiamo al controllo dei bagagli. Comunque non siamo le uniche, tutti vengono cordialmente controllati da cima a fondo. E lo stesso poi a Roma e a Verona, ultimo controllo. Avete qualcosa da dichiarare?
Niente.
Siamo arrivate, basta controlli, possiamo metter via il passaporto per un pochino e pian piano digerire questa forte esperienza, al suono dei cd che ci siamo comprate in aeroporto a Tel Aviv.
Un po’ di rock e un po’ di musica tradizionale, sia israeliana che araba. Purtroppo, non l’abbiamo trovato del buon rock palestinese.
E’ tutto per ora dai Territori Palestinesi. Lasciamo la parola ai nostri amici in India.

inaugurazione mostra e Christian Peacemakers Team

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QUI PALESTINA: torniamo a ieri.

Mentre Timira combatteva una dura lotta con il fotografo di Hebron e con la stampante che di tutto  produceva fuorché un buon bianco e nero (blu, verde, magenta), Diego e Gianni finivano le slides da mostrare durante l’esposizione, Ami ed io tagliavamo i cartoncini su cui appiccicare le foto.


 

 

Nella stessa mattina la Pabli ha fatto visita a Laura Ciaghi, volontaria presso CPT Christian Peace Makers Team, Ong americana nel villaggio di At Tuwani situato nelle colline a sud di Hebron. Il villaggio è costituito da circa 15 famiglie che vivono di pastorizia, piccola agricoltura e artigianato, isolati, a mezz’ora di auto dalla cittadina di Aiata. Gli abitanti vivono da più di 300 anni in questo paese con enormi difficoltà, dovute all’isolamento, alla povertà e alla mancanza di acqua, recuperata tramite pozzi.

Negli ultimi 20 anni la situazione si è aggravata per altri motivi. L’unica strada che collega At Tuwani alla cittadina di Aiata, si trova tra due insediamenti israeliani illegali, vale a dire non riconosciuti dallo stato di Israele. I membri del CPT  dal 2004 sono sul territorio per scoraggiare le aggressioni da parte dei coloni nei confronti dei contadini, dei pastori e dei bambini accompagnandoli nei loro spostamenti. Nello stesso anno dopo diversi attacchi tramite lanci di pietre, aggressioni fisiche e verbali, nei confronti dei bambini che per andare a scuola devono fare venti minuti di strada, lo stato israeliano, su pressione da parte di intellettuali israeliani e di attivisti internazionali come CPT e Operazione Colomba, hanno istituito una scorta con il compito di accompagnare questi 25 bambini nel loro percorso casa scuola tutti i giorni.

Attualmente  i CPT svolgono anche un lavoro di monitoraggio sull’attività della scorta israeliana.

Per ulteriori informazioni :

www.operazionecolomba.com

www.cpt.org

 

Nel pomeriggio inaugurazione della mostra fotografica, giochi e unicicling.

I ragazzi erano tanti ed emozionantissimi. E’stata dura tenerli fuori dalla porta mentre finivamo di appendere le foto e di gonfiare i palloncini. I volontari del Club ci hanno stupito trasformando la stanza, con una scenografia semplicissima ma bellissima e di grande effetto. Hanno utilizzato la iuta che si usa per raccogliere l’oliva come sfondo delle foto, che alla fine erano uscite con un tono anticato che si intonava perfettamente. Che fortuna, pensate se sceglievamo la tonalità sul verde!

Nelle foto vedete la Timira che sprizza gioia da tutti i pori.

Eravamo tutti molto felici e soddisfatti. Sono venuti in tanti  i ragazzi e soprattutto ci credete che è arrivata una “delegazione” di dieci ragazze dalla città vecchia e anche i ragazzi maschi sono arrivati un po’ più tardi. Come cenerentola sono dovute scappare, ma non a mezzanotte, bensì al calar del sole, prima che facesse buio. E’ stata una grande cosa per noi e anche per i volontari del centro la loro presenza, pensavamo che sarebbe stato molto più difficile che si spostassero, invece erano talmente curiosi di vedere le foto fatte insieme a loro che sono venuti tutti, portando anche gli amici.

Insomma tutto bene, la serata poi è stato un susseguirsi di saluti, abbracci, scambi di e-mails e indirizzi.

 

freedom theatre a jenin


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Oggi è il 14 ottobre e siamo a Jenin!! Abbiamo lasciato Hebron e i nostri amici del club, i bambini, i volontari, e un pezzettino del nostro cuore con loro.

Tre ore di viaggio e arriviamo al Jenin Refugee Camp costituito anche questo nel 1948 e tristemente famoso per il massacro del 2002 e la strenua resistenza all’occupazione militare israeliana.

Ospiti del freedom theatre finalmente ritroviamo il tempo di dedicarci al blog dopo due giorni di attività frenetica per concludere i laboratori e la mostra.

Per maggiori informazioni vi rimandiamo al sito e al film che anche noi ci guardiamo stasera “Arna’s children”, di Juliano Mer Khamis, premiato come miglior documentario al Tribeca Film Festival USA. Il regista Juliano,  di madre israeliana e padre palestinese, è attore e fondatore del Freedom Theatre al Refugees Camp. Sua madre fondò il precedente Stone Theatre attivo dal 1987 al 1997 e premiata con il Premio Nobel Alternativo.

Con la sua attività il freedom theatre sostiene l’espressione del grido di libertà di bambini e giovani palestinesi, tramite una formazione professionale al teatro e all’arte videocinematografica, proponendo un’alternativa creativa e vitale per giovani cresciuti sotto l’occupazione e il tragico e violento modello del martirio in nome di “Palestina libera”.


www.thefreedomtheatre.org

www.peacereporter.net