laboratori: start!

ieri pomeriggio sono iniziati i laboratori! great! finalmente incontriamo i bambini con cui lavoreremo e intorno al cui sorriso ruota il lavoro che Diego, Gianni, Pabli e Timira stanno preparando da mesi.Nella prima ora Gianni e Diego faranno "Fun and games" giochi dall’italia, dall-india e altri paesi.
Circa trenta bambini tra i 5 e i 10 anni, due ragazzi di Hebron fanno da traduttori al fantastico inglese di Diego. Correre, saltare, fare l-elefante, fare il gatto, la pantera, in gruppi di tre…e…e….e io (mirta) mi emoziono perche’ in quello stanzone i bambini corrono e ridono e ridono.
sono tanti i giochi, semplici, piu’ complessi, musicali, di movimento, con eliminazione, a squadre. Tramite il gioco si divertono, ma anche le regole, la collaborazione, l’abilita, la concentrazione, e soprattutto imparano a vivere la frustrazione dell’eliminazione senza drammi. Chi perde esce e dopo due minuti il gioco ricomincia!
nelle stanzette accanto Pabli e Timi presentano il laboratorio di fotografia, lavorano sulle immagini, la composizione, il tema, la luce. Ogni ragazzo puo’ scegliere delle immagini e poi raccontare perche’ l’ha scelta. Ne escono dei quadri carichi di pensieri ed emozioni e una bella discussione tra i ragazzi.Chi l-avrebbe mai detto che da una foto di pesci si potesse arrivare a parlare di collaborazione e di come, se tanti piccoli e deboli si mettono insieme, possono far fronte a qualcuno che e’ molto piu forte di lui? e secondo voi due scimmie per cosa combattono? per il cibo, la femmina o per la liberta?
Dall’altra parte intanto ha cominciato il laboratorio di monociclo. Tutti lo vogliono provare, un via vai di curiosi grandi e piccoli. ma c’e’ anche chi gia’ si capisce si ipegnera; per mantenere l’equilibrio e diventare un buon monociclista.


 

alla ibrahim mosque

Con Amy (l’amica indiana di Timira che avete visto nelle foto) sono stata di nuovo alla citta vecchia fino alla ibrahim mosque, la famosa moscheasinagoga divisa in due, dove sono seppelliti i  grandi patriarchi. Al piu presto caricheremo un video dove potrete seguirci e vedere i due ingressi. dalle piccole viuzze del  mercato arabo si arriva a un passaggio con cancello. I palestinesi mostrano i documenti e si tolgono la cintura (la fibbia potrebbe suonare), dalla parte ebraica tanti soldati, giovani – giovanissimi
mi chiedono se sono cristiana. Sono italiana dico.  are you christian? I’m italian. Yes I’m christian. Per entrare devo dichiarare di essere cristiana. Abbiamo parlato con un soldatino biondo, avra’ 18 anni, viene dalla russia, vive in israele da sei anni, non gli piace e vuole tornare inn russia appena ha finito il servizio militare, all-altro check point, un soldato dal viso scuro, amy gli parla, e’ indiano, di Bombay!

La citta vecchia

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IMG_8889ieri mattina siamo stati a fare il primo giro per la citta vecchia accompagnati dal nostro amico palestinese e dalla bionda ingebolt, i suoi capelli biondi non passano inosservati nemmeno dopo tre mesi che sta qui e anche noi 6 del resto siamo un po strani… stranieri insomma qui se ne vedono pochi. – welcome! welcome! – continuano a dirci – welcome to hebron! – shukran- rispondiamo – grazie. – where are you from?- Italia! – India! – Italia! – India!- c’e’ molta gente in giro, ma molti negozi sono chiusi, dobbiamo aspettare domani per vedere come e’ viva la citta’. negozi, bancarelle, gente, fino a la’, poi stop, non si puo passare, un punto di controllo, dietro e’ zona occupata, ci vivono coloni israeliani, i soldati controllano, i palestinesi che ancora abitano in quella zona nonostante le difficili condizioni, devono mostrare i documenti, e non e’ detto che li facciano passare subito. Zona occupata anche il cimitero islamico. Il cimitero islamico zona occupata? si, zona occupata. Qui a Hebron si scherza sul fatto che ai palestinesi tocca prevedere con anticipo quando gli moriranno i nonni per poter fare il permesso e poterli poi seppellire. ha ha ha. seguiamo la strada per la moschea, Ibrahim Mosque, l’atmosfera cambia, nienete bancarelle, negozi chiusi con grossi  lucchetti, buchi nella strada e sopra di noi una rete carica di sassi e oggetti vari.

 

IMG_89120"Under the spider net" si chiama un documentario girato sulla storia di alcune famiglie palestinesi a Hebron e Nablus, e rende bene l’idea la "ragnatela" per questa vita sotto la rete sotto i fucili dei soldati. Alziamo gli occhi: una donna palestinese sul balcone ci guarda, sul tetto di fronte un soldato israeliano, anche lui ci guarda. Eccola qua hebron, due mondi si guardano cercando di affermare il loro diritto di vivere su questa terra.

 


 Al pomeriggio preparazione degli spazi al club:

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Diego, Gianni, Pabli e i volontari del club lavorano sodo. incredibile la trasformazione di quel luogo in poche ore. Khaled, il direttore del club, intanto cucina per noi il piatto tipico di Hebron "Up side down"  si chiama, tradotto in inglese, riso cucinato con cavolo e pollo, dalla pentola viene poi viene rovesciato, come una torta e servito con yogurt e insalata con peperoni. Ci fanno anche assaggiare una bibita a base di datteri (o tamarindo?) preparata soprattutto per il periodo del ramadan. La serata finisce con partite di ping pong e gianni che perde contro la timi, che gli fa il verso del gallo. E’ davvero umiliato, tra il resto ha preso anche a tressette contro il diego e quindi gli tocchera’ servirgli la colazione!

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Al Palestinian Child Home Club

 

 

Da Gerusalemme abbiamo trovato un taxi collettivo, ci chiedevano 4 volte più della tariffa normale. “E’ festa! Non ci sono i trasporti!” Schiacciati in mezzo ai nostri bagagli abbiamo fatto questi 40 km zitti.
“Che non succeda niente – dice il Diego – che di qua non riusciamo a uscire”- In sottofondo i discorsi in arabo dell’autista e dei signori scuri davanti, noi dietro guardiamo il paesaggio cambiare. Ma non era il paesaggio naturale a cambiare quanto l’atmosfera. Lasciavamo Gerusalemme, sulla strada ebrei nei vestiti tipici, i cappelli, le giacche nere.  Le case tutte squadrate in pietra di Gerusalemme, finiva la città e finivano le case e ci passava accanto questo paesaggio di colline con pietre, reti, grandi muri. Il muro… eccolo il muro costruito nel 2005. Posti di blocco vuoti, la fila di macchine semmai è nell’altra direzione.

E di nuovo passiamo senza intoppi e arriviamo a Hebron in un’ora.

Ci è apparsa bianca, immobile la città, un po’ paralizzata, ma già il giorno dopo capiamo che era solo per le feste. E’ finito il Ramadan e da ieri 30 settembre è festa: Eid-al-Fitr. Si mangia, si sta in famiglia e si fa “shopping”. Ci hanno spiegato che ogni uomo va a trovare tutte le donne della sua famiglia e regala loro dei soldi. Il direttore del Palestinian Child Home Club ha visitato circa 35 famiglie, il che significa almeno 35 caffè e altrettanti dolcetti. Sono tutti vestiti per la festa con giacchette un po’ lucide e scarpe a punta gli uomini, velate e colorate le donne, poche peraltro se ne incontrano sulla strada. Tanti invece gli uomini, i ragazzi, i bambini….e tutti ci salutano, ci parlano, ci gridano le poche parole che sanno in inglese “where are you from? Welcome! I love you!”.
Le scuole sono chiuse per le feste, fino a domenica. Si, domenica  si torna a scuola. Qui i week-end sono il venerdì e il sabato. I bambini corrono per le strade, qualcuno passa in groppa a un cavallo, un asino, poche le bici, tantissimi giocano con pistole e mitra finti.

Ieri siamo stati al Palestinian Child Home Club, il posto è grande, bello, con tante stanze, un teatro, un pergolato, è tutto un po’ trascurato per i nostri canoni, ma qui è così e in fondo dopo un attimo ci siamo già abituati. Gianni e Diego montano i monocicli, gonfiano le otto ruote. Ragazzi curiosi guardano, i bambini osservano quei due “paiazzi” con in mano una ruota con una sella che gira intorno.

Il Palestinian Child Home Club è il nostro partner locale. Si tratta di una Ong che promuove attività e scambi culturali per i bambini di Hebron. Si basa sul lavoro di volontari locali e internazionali e sul sostegno della comunità di Hebron e le donazioni di sponsor locali. Le attività sono particolarmente intense durante l’estate, ci spiega Tareq, membro del PCHC con ottima conoscenza dell’inglese e un’ampia formazione nei diritti umani e progetti di sviluppo. Luglio, agosto e settembre i bambini non vanno a scuola e al Club organizzano un’intensa attività di gioco e formazione. “Siamo molto contenti di avervi qui, di poterVi accogliere a Hebron. Siamo sicuri che avrete un bel periodo e che ci sarà una buona collaborazione.”

Fa da traduttore per Khaled, il direttore di PCHC, che è già stato in Italia un mese con un gruppo di dieci ragazzi del club, ma non parla molto inglese.”Molti ragazzi vorranno partecipare ai Vostri laboratori, ma sarà importante che il gruppo rimanga lo stesso per tutta la durata. Ci teniamo molto che il progetto abbia una sostenibilità. I ragazzi che seguiranno il Vostro laboratorio potranno imparare con voi e in seguito diventare dei trainers per gli altri ragazzini-” Concordiamo su questo punto e sono molte le cose di cui parlare. Spieghiamo un po’ la storia del progetto e delle associazioni coinvolte e poi passiamo alla realtà dei Territori Palestinesi. E’ complessa la questione e noi siamo qui per vedere, capire, e poi raccontare in Italia e anche tramite il blog, aprire qualche piccola finestra sulla vita a Hebron.

Abbiate pazienza, amici che leggete, pian piano il quadro si farà più chiaro, più “leggibile” e ricco di particolari.

 

Jerusalem!

     

Eccoci, scusate il ritardo con cui diamo nostre notizie sul blog. Per fortuna c’è Sara che fa da mediatore!!! Grazie.

30 settembre

Ecco, siamo in Israele.

E’ “Rosh HaShanah”, il Capodanno ebraico e i 4 signori con cui facciamo il viaggio verso Gerusalemme vanno a trovare i loro parenti per la festa. “Vivo a Eilat” mi dice la signora seduta accanto, “ma quando vado a Gerusalemme mi sento a casa. C’è un’atmosfera diversa, religiosa”. E si tocca il cuore.

Vediamo davvero poco di Gerusalemme, ma l’impressione è forte. La città vecchia sembra un grande suq, strade strette, coperte, tutto negozietti, dolci, vestiti, scarpe, amuleti, oggetti sacri, odori, profumi, falafel, spiedini di carne e succo di melograno.

Lasciamo i nostri bagagli all’Hebron Hostel, una stanza solo per noi sei, la finestra è un’apertura sul soffitto che dà su un terrazzo “sgarruppato”, molto mediorientale.

Usciamo, mangiamo, andiamo a vedere la Chiesa del Santo Sepolcro. Assistiamo al momento della chiusura e così rimaniamo nella piazza che vedete nella foto a guardare le persone che passano.

Per arrivare al muro del pianto passiamo un punto di controllo “Niente foto – ci dicono – E’ festa”

Donne e uomini ebrei vanno a pregare, ma divisi, gli uomini a sinistra, le donne a destra. sono tutti vestiti per la festa, di nero molti, un po’ retrò, gli uomini portano questi grandi cappelli neri a falda larga. Si appoggiano al muro, dicono le loro preghiere, infilano un bigliettino tra una pietra e l’altra.

Finiamo la serata in una viuzza “araba”a fumare il narghilé alla mela, bere caffè turco e thè alla menta. Tutti uomini, le uniche donne sedute a un tavolo siamo noi quattro, due italiane e due indiane.